• Jervis Bay (Beach) ovvero Piccoli problemi di mare

    Caro Filippo,
    tu mi rimproveri –con affetto– di non capire il mare, da umbro che sono che si esalta per Ostia.

    Non sarò un esperto, ma non è che proprio non lo capisco: io amo Roma (che mi manca e tutti i giorni per colpa di Facebook!) e mi esalta l’idea che abbia il mare. In questo, certo, dimostro di essere perugino, separato da una qualsiasi costa da almeno due ore di macchina… Guarda queste foto, però, e dimmi che ne pensi! Lo capirebbe persino un umbro; e, infatti, io lo capisco.

    Come vi raccontavo, credevo di trovarmi nel Nuovo Galles del Sud, quando una cartina –che non ritrovo– me lo mostrava confinante a Nord e a Sud: Jervis Bay è infatti un territorio a sé, scopro dalla articolata storia amministrativa. A differenza di quanto leggo su Wikipedia, però, ricordo chiaramente l’indicazione di una “amministrazione congiunta”, chiaramente in riferimento alla popolazione aborigena locale (che occupa una propria area off limits).

    In tutta Jervis Bay c’è un solo piccolo negozietto, che, dovendo coprire tutti i fabbisogni, potrebbe forse fregiarsi, in piccolo, persino dell’appellativo di “supermarket”. Ci rechiamo lì prima di andare in spiaggia, per fare colazione, fare scorta di provviste… e per comprare un cappello in stile “esploratore australiano” (almeno io).

    Gli avventurieri con cui sono in viaggio si cambiano in tenuta da spiaggia (anche meglio nota col termine di “costume”), mentre io rimango cocciutamente con calzoni e maglietta addosso, cappello in testa e soprattutto scarpe ai piedi!

    Va bene, Filippo, lo ammetto: io ho problemi col mare persino a Ostia, nel senso che già mi beo di starmene bello sdraiato in spiaggia (sempre senza telo), e, a parte di uno spaghetto allo scoglio e di un bicchiere di vino bianco, non ho davvero bisogno d’altro. Se vai in acqua e ti imbatti in una creatura marina, non stai giocando in casa e non puoi farci niente. Magari sarà colpa delle meduse in faccia da bambino o della razza che mi sono ritrovato letteralmente tra i piedi se ho maturato questa convinzione. Eppure, si obietterà, l’amico Eugenio l’ha pure proprio pestata una tracina (si rimanda, con l’occasione, all’omonimo lavoro giovanile dell’amico Mario Tani, per chi ha la fortuna di trovarlo!) e non per questo non rimetterebbe più piede in acqua. È cresciuto sul mare, pure lui; non può che perdonargli tutto, mantenendo per sempre quel rapporto quasi mistico di fascino e confidenza. Mi fate appena un po’ invidia, voi amici marittimi, perché sospetto possiate capire Edmond Dantès ancor meglio di me…

    E così, mentre gli altri si fanno il bagno e prendono il sole, io vado a farmi un giro tra gli scogli, fin dove posso arrivare senza mettere piede in acqua.

    A dire il vero l’acqua è tersa, pare si possa dunque tenere sotto pieno controllo. Anna ha sviluppato questa teoria al riguardo: se si vedono degli australiani che entrano in acqua, allora si deve poter fare altrettanto. “Tanto gli squali non ti mangiano mica!”, pensano però questi qua, quindi io comunque non mi fiderei troppo…

    (Citando al volo Bill Bryson, del cui In un paese bruciato dal sole dovrò riparlare in dettaglio tra un certo numero di post, in riferimento ad un invito a praticare boogie boarding nelle acque di Sydney riporta la seguente conversazione: «E gli squali?» | «Oh, qui non credo nemmeno che ce ne siano. […] quand’è l’ultima volta che qualcuno è rimasto ucciso da uno squalo?» | «Da una vita», rispose […] riflettendo. «Almeno un paio di mesi.» | «Un paio di mesi?» […] «Minimo. Come pericolo gli squali ormai sono superati»)

    Un po’ alla volta cedo, prima a prendere il sole, poi a mettermi anch’io in costume, a rinunciare alle scarpe e perfino ad entrare in acqua (più andremo a Nord, tra l’altro, più avrò ragionevoli motivi per non provare, mi fa notare Anna)… Il mio criterio di “essersi fatto un bagno”, ovvero di sommergersi completamente, l’ho rispettato; ma da qui a fingermi a mio agio ce ne corre. Sono tornato a dorso fino a sbattere miseramente a riva; per fortuna mi hanno visto in pochi (e non mi leggono in troppi; ora faccio il Manzoni della situazione). Nessuno, comunque, potrà dire che non mi sono fatto il bagno (un bagno) in Australia; a me basterà così.

    È interessante osservare come, per quanto a monte si studino i pericoli dei luoghi che si andranno a visitare, non risulta poi banale tenerli a mente durante la routine, per quanto al di fuori della nostra comune percezione del mondo. Lasciamo perdere i coccodrilli, che stanno un bel po’ più a Nord (a Nord l’Australia raggiunge una condizione sub-tropicale, sapevatelo!); e pure gli squali, che alle volte entrano persino nella baia di Melbourne senza alcun clamore degli “indigeni”; qui non bisogna raccogliere le conchiglie, che magari l’ospite vi farà davvero rimpiangere il vostro desiderio di una collana, o il polpo dagli anelli blu (per noi “hapalochlaena”, manco abbiamo un nome!), che piccolo e non aggressivo ti manda comunque al creatore così, per una carezza… “Non saltare nelle pozzanghere!”, mi dirà tra qualche settimana un australiano ricapitolandomi le best practice da seguire nel Commonwealth: magari un esemplare ci rimane “intrappolato” e se gli vai addosso ha pure ragione lui!

    (Sempre in relazione al concetto di pericolo per come diversamente vissuto dagli australiani, cito ancora brevemente l’esperienza di Bryson, la cui sessione di boogie boarding, esilarante e che consiglio di leggere per intiero, viene disturbata dalla presenza prima di una poi di due “bluey”, alias callifore A.K.A. fisalie: alla richiesta di delucidazioni in merito alle conseguenze di un eventuale contatto con questi simpatici essere marini, l’interlocutrice dell’autore esclude un “pericolo” ma lo definisce come “un tantino fastidioso”, al che Bryson ragiona così: La puntura di una fisalia […] è agonia. Mi è venuto in mente che gli australiani sono così circondati dal pericolo che hanno elaborato un vocabolario completamente nuovo per fare i conti con esso.)

    Insomma Filippo, se mi raggiungi e, dopo quanto ti ho detto, persino tu decidi di andartene in piscina, fa’ attenzione pure là: non toccare il fondo, e sta’ comunque attento… ai ragni! Qua ce ne sono di grandicelli per i nostri standard, ma è perlopiù da quelli piccoli (specie delle piscine) che devi diffidare. (Disclaimer: se leggete questo blog e poi andate nel Nuovo Galles del Sud, prestate attenzione pure al funnel web spider, un po’ più grandicello.)

    Ti mando un forte abbraccio,
    Jack