• It’s fun to stay at the YHA

    Se i Village People cantavano quanto fosse bello stare alla Young Men’s Christian Association è perché evidentemente non sono mai stati allo Youth Hostelling of Australia…

    Arriviamo nel quartiere di Bondi e parcheggiamo la nostra bella Nissan Almera proprio di fronte allo YHA Bondi. Il principale timore di Stefano è che le estremità della nostra auto siano eccessivamente vicine a quelle delle macchine contigue: sostiene infatti via sia una norma, non ho capito se scritta o d’uso, come in Nuova Zelanda, per la quale si debbano lasciare 50 cm. Avete capito bene, mezzo metro! A me pare esagerato, se avessi dovuto prendere una delle due macchine in questione le avrei fatte comunque uscire in una sola manovra, e secondo me anche un macaco a ciò addestrato, ancorché sotto effetto di blandi stupefacenti, sarebbe potuto riuscire in tanta impresa. Ma qua, come mi spiegaranno tra quasi un mese, non è di scena il gioco del buon senso, quanto l’enforcing ferreo di regole e leggi.

    Pienamente coerenti, lasciamo la macchina lì, ché ci sta troppo comoda, prendiamo quando dobbiamo portarci dietro (non si temono furti in Australia), ed entriamo in questo ambiente, familiare e arancione. Al bancone due ragazzi stanno mangiando ma riescono anche ad occuparsi del nostro check-in. La prima cosa che chiedo io è, come sempre, i dettagli per l’accesso a internet: sono infatti ormai due giorni che sto senza una connessione WiFi, e chi mi conosce può immaginare a cosa ciò mi conduca, ovvero a un certo di nervosismo smanioso di rimettermi in pari (potrei andare in giro dicendo “Fammi sbrigare le email” più o meno come DiCaprio/Hughes va in giro dicendo “Fammi vedere i progetti”, per intenderci ). Nervosismo smanioso che si dovranno un poco sorbire i miei sfortunati compagni di viaggio. 🙂

    Ma intanto andiamo a prendere possesso della nostra dimora, cioè dei nostri letti, in delle belle camerate condivise (maschi e femmine qui divisi; aspettate Port Macquaire…). È la prima volta che sperimento questa modalità, ma a) è decisamente meglio di dormire in macchina e b) se si tratta di un ostello è una soluzione molto più reale (“visceral”, come direbbero qui) delle loro camere singole o doppie. Infatti tra un ostello e un albergo la differenza non è solo di una ‘s’ (qua l’autore vuole giocare sulla compitazione dei due termini in inglese: hostel e hotel – NdA-stesso): l’idea di ostello nasce con l’inclinazione alla condivisione giovanile, per tanto camere con molti letti e un certo livello di disordine(/sporcizia) rendono questi luoghi assai più coerenti ed apprezzabili degli ostelli chicchettosi che fanno finta di non avere la ‘s’ (come fu ai tempi della prima sopravvivenza mia e di Ross a Melbourne).

    La camera è un casino, non c’è spazio per mettere la propria roba nemmeno per terra, ed ho il sincero timore di scordarmi di riprendere qualcosa domani, dovendo sparpagliare tutto in giro adesso come uno scoiattolo grigio. C’è un ragazzo già a letto con cui scambierò soltanto un “hi”/”bye” il giorno dopo un attimo prima della partenza. Conosciamo altri due ragazzi italiani, appena arrivati e per la prima volta fuori casa; mia nonna sarà fiera di me, che ho spiegato ad uno di loro i principi base di una corretta sessione di lavatrice (ovviamente nulla a che fare col livello che raggiunge Ross, ma comunque direi encomiabile). E soprattutto conosciamo Christiaan, futuro ingegnere olandese delle miniere australiane, attualmente in viaggio, molto più rilassato di noi, per la costa orientale. Anche lui sta bloggando la sua esperienza, così il suo Christiaans wereldreisblog (Il blog del (giro del?) mondo di Christiaan entra per primo nella sezione dei siti amici di Jack and Ross, con particolare piacere di tutti i nostri follower che, oltre ad essere dei perfetti madrelingua italiani, si dilettino un poco anche con il nederlandese (e, se avete basi di inglese e tedesco, magari qualche frase minima riuscite pure ad azzeccarla)… o che vogliano sperimentare il funzionamento di Google Translate.

    Urge una doccia… e come sempre mi sono dimenticato di portare le ciabatte. Sacrificherò un paio di calzini alla causa. Anche Stefano, per la cronaca, se le è dimenticate. Lui si è dimenticato pure il sapone! E, a dire il vero, anch’io. Ma lui ha quel certo approccio spigliato –che secondo me gli fa rischiare spesso una papagna estemporanea, che però evita sempre svanendo altrettanto tempestivamente– che induce un mal disposto compagno di stanza a dargliene comunque un po’. Ci dobbiamo sbrigare di modo che possa sfruttarlo anch’io, e che lui possa rientrare senza far capire di averlo a sua volta sub-prestato a me (e chi sa perché usiamo il verbo “prestare” per le cose non troppo costose a consumo che comunque “regaliamo”?). Per non tornare con i calzini fradici ai piedi, lasciando delle chiare tracce che gli indigeni potrebbero seguire, mi trovo costretto a simulare disinvoltura nella passeggiata in corridoio mentre li tengo gocciolanti in mano.

    Urge anche una lavatrice. I tipi alla reception ci mettono un’ansia tremenda: chiuderà tassativamente alle 22, nel senso che per le 22 dobbiamo aver asciugato e tolto tutto, altrimenti i nostri panni rimarranno là dentro, chiusi a chiave da una perfida inserviente fino alla mattina seguente, perdipiù inoltrata. Da uomo di produzione quale sono –e in realtà ero così anche prima–, una scadenza è una scadenza, e un problema solo una scusa per trovare una soluzione, tanto meglio se a orologeria. Organizzo tutto e mi occupo di avviare i panni maschili già sporchi del viaggio. Chiedo a Stefano di seguire la cosa, specialmente in merito al passaggio, da effettuarsi in manuale, da lavatrice ad asciugatrice (entrambe macchine infernali dai tempi bloccati).

    Mi urge, personalmente, di andare su internet. Dobbiamo ancora pagare i pedaggi autostradali (al noleggio ci hanno detto che possiamo farlo senza incorrere in multe entro 48 ore dall’utilizzo di tutte le tratte) e devo dunque telefonare a dei numeri speciali, che noi chiameremmo “verdi”, ma fare una telefonata senza avere un PC acceso davanti può essere considerata una cosa d’altri tempi. Stasera non riuscirò a fare niente di tutto questo, e pagare le autostrade meriterà un post a sé; a livello operativo, se ne riparlerà almeno domattina, ma ho ancora un sacco di arretrati e, come dicevo, una prolungata assenza da una connessione può causarmi una alterazione dell’umore.

    Ma torniamo a bomba sulla lavatrice. Vi raccontavo del tipo di persona che sono, e di come il mio lavoro mi sia caduto a fagiuolo o forse abbia addirittura accentuato certi tratti della mio carattere. Ecco, Stefano, no: Stefano è forse l’amico più svagato che io abbia mai avuto, un cronico “last minute chooser” (come l’ho definito pochi giorni prima di partire ad una persona che voleva fare programmi con noi a Melbourne che non aveva capito con chi aveva a che fare), cosa che va bene tanto più sei da solo o tanto più ti trovi con degli amici accondiscendenti o tanto più ti trovi con gente della tua stessa razza e sintonizzata. Va bene, bilanciamo con un po’ d’apologia: svagato, non più come alle superiori, al lavoro poi –mi dice– è diventato un’altra persona e già mentre organizzavamo a distanza, prima del suo arrivo dalla Nuova Zelanda, mi ero reso conto di quanto fosse migliorato: “Viaggiando s’impara…”, mi replicherà lui; last minute chooser, è una cosa bellissima, so esserlo anch’io so alle volte (e ve ne racconterò una bella quando arriveremo a parlare di Byron Bay), ma sono anche consapevole che funziona tanto più facilmente tanto più si è da soli o quanto meno autonomi…

    Ecco, quest’anima libera, invece di occuparsi della lavatrice (e di riferirmi gli sviluppi), se ne sta di sotto a giocare a ping pong. La cosa, potete immaginare, mi esaspera. Allontanarmi dal computer è inconcepibile, attendo dunque con disperazione. Avevamo pure un appuntamento per cena, ma il tempo pare essere un concetto piuttosto relativo (quindi meno male che io mi ero premurato di fare una cena prima della cena da un vicino Hungry Jacks; per la prima volta da Burger King in Australia, non è successo a Melbourne ma dopo mesi a Sydney!).

    Quando finalmente lo incrocio, mi pare gentilmente avvisato da Anna, comincia a tirarmi fuori una storia incredibile su come tutta l’ansia che ci hanno messo alla reception, “Abbiate finito per tempo!”, “I panni rimarranno lì fino a domattina inoltrata altrimenti.”, “Non si può assolutamente derogare.”, fosse del tutto immotivata, e di come sia possibile risolvere il problema senza stare con le sveglie settate, come sto io da di sopra, militarmente attenti alla fine di un ciclo per avviarne un altro e sperando che i tempi-macchina siano congrui e i tempi-uomo clementi.

    A un certo punto, sopraffatto da tutto, ricordo di avergli chiesto con certa disperazione: “Stefano, ho una, due, tre… dodici, tredici schede aperte contemporaneamente: potresti soltanto rassicurarmi che i nostri panni sono sotto controllo e che non resteranno intrappolati qui dopo la nostra partenza?”. Troppa tensione, lo ammetto, ma quando saprete di come funzionano qui i pedaggi autostradali per gli occasional travelers mi capirete meglio. Io sono tornato al computer, lui al ping pong.

    Più tardi una pasta al pesto; essendo fuori, Anna non ha avuto modo di aggiungervi il suo usuale tocco, le patate, che elevano il sugo pronto; la densità dello stesso sulla pasta, poi, si potrebbe definire “economica”. Gli amici italiani che ci dovevano raggiungere hanno anche loro un concetto del tempo relativo, persino più del nostro; loro si fanno… una pasta al pesto, ma molto più condita della nostra. Per me non è un problema: sono tutto preso nel collezionare esperienza delle bevande locali alle distributrici automatiche, come vedete dall’unica foto che ho scattato quella sera!

    Qua le “bevande di fantasia” (vedasi la legge n.286 emanata il giorno del mio compleanno 1961 – e successive modificazioni e integrazioni) sono ben poco fantasiose; o sono “limonate” gassate, o c’è qualche altro frutto, e le energetiche, nonostante il nome, sembrano tutte delle dannate gomme da masticare con le bollicine tanto quanto la RedBull. Ma il colore delle lattine, come potete immaginare, continua a divertirmi.

    Resto al computer, ma poi mi metto a chiacchierare con Christiaan, e tanto pagare (e studiare) le autostrade, avrete capito, non è solo impossibile, ma concettualmente frustrante (di sera, via internet, in quei giorni in particolare…). Così tanti cari saluti buoni propositi! (Non mi è facile conteggiare con esattezza, rispetto al tempo australiano, i miei dati codificati in tempo italiano, ma forse quel giorno sono riuscito a inviare ben un paio di email.)

    La sala da pranzo lentamente si svuota, e pure noi, ultimi due superstiti, ad una certa decidiamo di andare a letto. Mentre sono su (nel triplice senso di in camera, a letto e sul letto sopra del letto a castello), mi ricordo che tra i miei molteplici propositi ce ne era uno speciale e indemandabile: fare gli auguri di compleanno, secondo l’orario italiano, al mio nipotino, il cosiddetto AlePiragna. Esercito le mie capacità da primate scendendo l’instabile struttura su cui mi trovo, attraverso al buio il campo minato che è il pavimento della nostra stanza ed esco lasciando una scarpa a socchiudere la porta, ché la mia chiave fa pure le bizze e non vorrei svegliare nessun per rientrare. Alla ricerca di un ambiente adatto, sotto ne trovo uno meraviglioso, tipo sala (o “corridoietto”) computer, con dei comodi divani. Saluti, auguri, e il desiderio di rimanere direttamente là a dormire, se non fosse che, dopo quasi quaranta minuti, mi ricordo di aver lasciato la porta della camera aperta; non riuscirei di certo ad addormentarmi con questo pensiero…