• Dove c’è internet c’è casa… e magari un buon ostello

    Questa enorme isola che è l’Australia, che l’Europa ci sta tutta dentro comoda, ha una densità abitativa talmente bassa che su certi fronti non può che svilupparsi a fatica. Penso in particolare alla possibilità/facilità di connettersi ad internet.

    Se prima di partire mi avessero detto che avrei avuto difficoltà a connettermi nei pressi di Uluru, ad esempio, non mi sarei di certo stupito; ma persino nelle grandi città (e considerate che se cercate “australia” su Google e finite su Google Maps ne vedete indicate soltanto quattro!) può essere ancor più difficile che in Italia.

    Anna mi raccontava della sua esperienza nelle vicinanze di Machu Picchu, in un posto cioè dove nessuno punterebbe un nuevo sol di riuscire a mandare una email dal proprio PC o cellulare, mentre al contrario ogni signolo scaragnato baretto, a quanto pare, offre uno spot WiFi da fare invidia sia al Belpaese che al Commonwealth.

    I primi giorni passati in ostello al nostro arrivo mi fecero scoprire il lusso della colazione ad uno “Starbucks Internet Cafè”, dove, assieme ad altri disperati, andavo ad occuparmi della mia corrispondenza (c’era chi andava lì proprio a fare le chiamate con Skype: turisti anche voi, pensavo) a patto di consumare almeno una bevanda ogni mezzora. Prima di prendere possesso della nostra attuale dimora, abbiamo acquistato prima un hotstop WiFi mobile ricaricabile in condivisione, e presto uno ciascuno, dove la tariffa correva veloce a 10 $/GB (e, anche scegliendo un piano abbonamento, non si riesce ad ottenere molto di meglio). Una soluzione praticabile è recarsi alla Biblioteca di Stato del Victoria, ma con la scomodità di dover attendere un posto libero a sedere, e perdipiù su degli enormi sofà quadrangolari senza schienale (a meno di non trovare qualcun altro disposto a fare azione-e-reazione con voi, che però è sempre un modo difficile di attaccare bottone con degli sconosciuti…).

    Tutto questo per dire che, in risposta all’osservazione della mia amica Kahyun secondo cui ci si è stabiliti in un nuovo posto non appena si prende confidenza col nuovo bagno (1), ho realizzato che per me funziona molto più semplicemente e rapidamente secondo il motto dove c’è internet c’è casa. E, in Australia, trovare casa non è facile.

    La mia unica condizione, infatti, rispetto a dove passare la notte, che si trattasse di ostelli o persino di campeggi (come avverrà in un certo senso “domani”), era la possibilità di essere connessi al resto mondo nei notturni “intervalli di viaggio”.

    Lasciata Sydney, memori dell’importanza di prenotare un posto per tempo, ci dirigiamo verso Port Macquarie, che diventa per Lucia la nuova sezione di interesse della mitica Lonely: le camerate sono miste e non c’è problema (eppure rispetto al nostro gruppo maschi e femmine continuano a dormire separati); il punto, cerchiamo di chiarire al telefono, è “Avete internet?”. Risposta complicata: sì, ma noi dobbiamo arrivare entro mezzanotte per poterlo usare. “Non è possibile averlo anche se arriviamo dopo?”. No, perché, se arriviamo quando loro se ne sono già andati, magari ci lasciano le chiavi per entrare (!), ma il codice per usare la rete scade entro trenta minuti dalla sua generazione, e, per tanto, se li becchiamo, ce l’abbiamo; se no, se ne parla domattina, cioè all’ora di ripartire… e tre post (dal Discorso sul metodo) sarebbero stati ancora inesorabilmente rimandati, con ogni probabilità a viaggio già concluso. (E i buoni propositi di aggiornarvi in “real time o quasi” sono comunque miseramente falliti: è passato più di un mese e sto ancora a scrivere della relocation!)

    Per fortuna, come avete potuto notare il 24 aprile, ho finalmente avuto una connessione a internet e nessuna distrazione! Anzi, sono stati così cortesi da darmi un codice d’accesso per ogni mio dispositivo, di modo che potessi sincronizzarmi contemporaneamente tutte le foto e lavorare agevolmente.

    Da tutto ciò ben disposto nei confronti della struttura, ho potuto apprezzare anche proprio l’ostello, continuando a sviluppare nella mia mente un pensiero che avevo già dalla sera prima.

    Se internet caratterizza casa, che cosa caratterizza ostello? L’ostello dove io e Ross abbiamo trascorso i primi giorni al nostro arrivo, oltre ad avere una pessima connessione internet, cosa che già gli toglieva il requisito affettivo di “casa”, era anche uno ostello che giocava a fare l’albergo: chiavi elettroniche, portoni in vetro dal look anti-proiettile, un livello di pulizia (almeno apparente) imbarazzante…

    Se dovete andare in ostello, credete a me: andate nelle camerate con altre persone, che è inutile pagare di più per fare gli accampati a metà. Magari si incontra pure della gente simpatica (o magari, lo ammetto, che russa). Se non sapete dove lasciare i vostri soldi e il computer, da queste parti non rischiate nemmeno a lasciarli in bella vista sul letto a quanto pare (ho conosciuto un ragazzo che ci ha lasciato il portafoglio per due settimane senza il minimo incidente)… ma comunque non è una cattiva idea utilizzare gli armadietti a disposizione, giusto ricordandosi di procurarsi un lucchetto prima del viaggio.

    Questo ostello, probabilmente, mi ha preso anche e soprattutto per la simpatia: sceglierei ancora il Port Macquarie Backpackers anche solo per il cestino di scambio del cibo non amato (meglio in originale “Unloved Free Food Basket”). E certamente mi sono sentito a casa.

    P.S. La mattina dopo, comunque, siamo stati svegliati alle 6 per un (falso) allarme antincendio: chi si è alzato subito, chi ha aspettato di vedere cosa facevano gli altri, per verificare se c’era davvero da scappare… e chi, come Anna, è rimasta saggiamente a letto, ché in fondo se lo sentiva che era un fake: un posto troppo tranquillo, persino per un incendio, deve aver pensato…

    (1) Kahyun ci tiene a precisare che la sua osservazione nasce come tentativo di risposta all’accademico dilemma “Come si stabilisce quando si è ormai a proprio agio in un posto nuovo?”.  🙂